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Giovedì in COENA DOMINI: visita alle Sette Chiese dei Rioni Sant’Eustachio, Parione e Regola

Giovedì in COENA DOMINI: visita alle Sette Chiese dei Rioni Sant’Eustachio, Parione e Regola

Giovedì 28 Marzo, ore 19,30 – appuntamento a  Piazza Sant’Eustachio davanti all’omonimo caffè

La formazione dei gruppi è fatta in base all’ordine cronologico di prenotazione

Quota di partecipazione€ 13,00 comprensiva  di visita e del servizio di radiocuffie

Termine Ultimo di prenotazione: mercoledì 27 Marzo  ore 13,00

La visita sarà condotta da Massimiliano Del Moro, storico dell’arte e guida turistica autorizzata

Visita alle Sette Chiese dei  Rioni Sant’Eustachio, Parione e Regola: Basiliche  di Sant’Eustachio, San Luigi de’ Francesi, Sant’Agostino, Sant’Apollinare, Sant’Agnese a Piazza Navona, Sant’Andrea della Valle, Santissima Trinità dei Pellegrini e Convalescenti …………………

……………………………. All’inizio della celebrazione

viene acceso uno speciale candelabro triangolare (chiamato “Saetta”), in genere con sette candele che rappresentano sette “ombre” della vita di Cristo: l’Ombra del Tradimento, l’Ombra della Negazione, l’Ombra della Solitudine, l’Ombra dell’Accusa, l’Ombra della Sofferenza, l’Ombra della Crocifissione e l’Ombra della Morte.

Durante la liturgia, le candele si spengono una alla volta, dopo il canto dei Salmi.

La candela finale, che rappresenta Cristo, non si estingue, ma di solito viene nascosta dietro l’altare dopo l’ultima lettura biblica. Viene recitata, nell’oscurità, una preghiera finale. In quel momento si sente nella chiesa un forte rumore, chiamato strepitus. Può essere emesso facendo cadere dei libri su un banco o suonando uno strumento ad alto volume, e rappresenta il terremoto che ci fu quando morì Gesù e la confusione che venne dopo. Altri dicono che simboleggia l’azione del rotolare della pietra sulla tomba di Gesù.

La liturgia si conclude nel silenzio e l’ultima candela o viene mantenuta nascosta o viene mostrata nuovamente. I fedeli se ne vanno in silenzio e l’atmosfera è ancora molto triste. È un momento per riflettere sulla morte di Cristo e sull’oscurità che coprì il mondo il Venerdì Santo.

È una parte meravigliosa della Settimana Santa, che proietta i fedeli nella morte di Cristo e rende ancora più drammatica l’accensione delle candele nella notte di Pasqua. Durante il Tenebrae, la chiesa è avvolta nell’oscurità, ma le tenebre non hanno l’ultima parola. In quella stessa oscurità ha inizio la Veglia pasquale, ma la luce di Cristo (simboleggiata dal cero pasquale) caccia via le ombre e l’intera chiesa emana luce quando la candela raggiunge il santuario.

È questa la buona novella della nostra fede: per quanto oscuro il nostro mondo possa farsi, la luce di Cristo vince le tenebre e conduce ognuno di noi alla vita eterna.

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Il giovedì santo precedente la domenica di Pasqua è denominato nell’Anno liturgico romano della Chiesa cattolica sia Giovedì della Cena del Signore nell’ambito della forma ordinaria, sia Feria Quinta in Cena Domini nell’ambito della forma straordinaria.

Gesù dà se stesso in cibo: è il sacramento dell’amore. Il Giovedì santo, con il suo richiamo «anniversario» all’evento dell’ultima cena, pone al centro della memoria ecclesiale il segno dell’amore gratuito, totale e definitivo: Gesù è l’Agnello pasquale che porta a compimento il progetto di liberazione iniziato nel primo esodo; il suo donarsi nella morte è l’inizio di una presenza nuova e permanente«il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa» (prefazio della ss. Eucaristia I).

Partecipare consapevolmente all’Eucarestia, memoriale del Sacrificio di Gesù, implica avere per il corpo ecclesiale di Cristo quel rispetto che si porta al suo corpo eucaristico. La presenza reale del Signore morto e risuscitato nel pane e nel vino su cui si pronuncia l’azione di grazie, si estende, sia pure in altro modo, alla persona dei fratelli, specialmente dei più poveri. «In questo grande mistero tu (o Padre) nutri e santifichi i tuoi fedeli, perché una sola fede illumini e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra» (prefazio della ss. Eucarestia II).

 

CURIOSITA’: perché si dice “FARE IL GIRO DELLE SETTE CHIESE”

L’espressione “fare il giro delle sette chiese” vuol dire andare da un posto all’altro impiegando parecchio tempo ed energie. L’origine del detto risale al 1540, e richiama il pellegrinaggio promosso da San Filippo Neri, fondatore degli oratori, come prova di devozione cristiana. Il prelato raccomandava ai fedeli di rendere omaggio alle 7 Basiliche più importanti di Roma:  San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore, San Pietro in Vaticano, San Paolo Fuori le Mura, Santa Croce in Gerusalemme, San Lorenzo fuori le Mura e San Sebastiano. I 20 km del percorso  dovevano essere coperti nel giorno del Giovedì Santo.  Ma c’è chi sostiene che l’origine sia più antica, riferita alla Basilica di Santo Stefano a Bologna: in realtà un complesso di luoghi di culto paleocristiani chiamato “le sette chiese”, da visitare in un sol giro.

 

Dato il carattere strettamente religioso della visita si prega di voler osservare il silenzio all’interno delle Chiese, nel rispetto degli Altari della Reposizione allestiti e dei fedeli in preghiera, grazie.

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“IPOGEO DI VIA LIVENZA”

“IPOGEO DI VIA LIVENZA”

Venerdì 12 Aprile, ore 17,00, in Via Livenza n. 4 (traversa di Via Po). 

APERTURA STRAORDINARIA PER SOLI 9 PARTECIPANTI

 Quota di partecipazione: € 17,00 comprensiva di  ingresso di € 4,00, visita e servizio radiocuffia –

per i possessori di MIC CARD la quota è pari ad € 13,00 con ingresso gratuito (comunicarlo al momento della prenotazione)

Termine ultimo di prenotazione: fino ad esaurimento posti 

Condurrà la visita Massimiliano Del Moro, storico dell’arte e guida turistica autorizzata

 

 I resti di un edificio sotterraneo furono scoperti nel 1923, durante gli scavi per la costruzione di una palazzina. Oggi si conserva una piccola porzione del complesso ipogeo, datato alla seconda metà del IV secolo d.C. che da sola può darci l’idea della bellezza e della singolarità di questo luogo, la cui funzione fa ancora discutere gli studiosi.

 Affascinante l’ipotesi che si potesse trattare di un luogo dedicato alla Dea tracia Cotys venerata dalla setta misterica dei Baptai, o, vista la pianta absidata dell’edificio, la presenza della vasca e l’interpretazione in chiave simbolica e biblica delle pitture, di un antico battistero.

Altre tesi vorrebbero questo edificio un tempio legato al culto delle acque, un’area nascosta destinata a pratiche magiche, oppure data la coesistenza di influssi diversi, un luogo di riunione per una setta sincretistica.

In ultimo sembrerebbe trattarsi di un semplice ninfeo costruito in relazione ad una sorgente d’acqua sotterranea che oltre a condizionare l’architettura e la profondità dell’edificio, è anche il tema centrale della decorazione musiva e pittorica. Si spiegherebbe così la coesistenza di elementi pagani e cristiani che troviamo in questo edificio e che ben si inserisce culturalmente nella seconda metà del IV secolo d.C., particolare periodo storico caratterizzato da una lenta ma profonda trasformazione del mondo romano.

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“L’Insula dell’ARA COELI” – Ingresso Speciale

“L’Insula dell’ARA COELI” – Ingresso Speciale

Venerdì 24 Maggio, ore 17,00 – in Piazza dell’Ara Coeli

Massimo 11 Partecipanti

Quota di partecipazione€ 17,00 comprensiva del biglietto di ingresso, visita e radiocuffie 

Per i possessori di MIC CARD la quota è di € 13,00 (comunicarlo al momento della prenotazione)

Termine Utlimo di prenotazione: fino ad esaurimento posti

La visita sarà condotta da Massimiliano Del Moro, storico dell’arte e guida turistica autorizzata

 

Tra i numerosi edifici scoperti alle pendici della collina, nel corso dell’isolamento del Campidoglio (1931 – 1942), il più notevole è certamente la grande insula (casa di abitazione a più piani) visibile ai piedi della scalinata dell’Aracoeli, tra questa ed il Vittoriano. Dell’edificio, che si appoggia alla roccia della collina, restano, oltre al pianterreno e al mezzanino, tre altri piani, e tracce di un quarto che non era forse l’ultimo. Il pianterreno è costituito da taberne che si aprono su un cortile, circondato da un portico a pilastri.

Le taberne, probabilmente utilizzate come botteghe, comunicavano direttamente con ambienti sovrastanti, costituenti il mezzanino, il cui pavimento, originariamente di legno, è ora scomparso.

Una balconata su mensole di travertino segna il trapasso agli appartamenti in affitto, costituiti da un grande numero di ambienti, illuminati da finestre rettangolari. Gli ambienti diventano sempre più angusti man mano che si sale ai piani superiori.

L’edificio, del II° secolo d.C., costituisce un tipico esempio dell’urbanistica intensiva che era propria di Roma nella piena età imperiale e che conosciamo assai bene ad Ostia. Si è calcolato che esso ospitasse, in condizioni non certo confortevoli, circa 380 inquilini: un vero e proprio dormitorio per poveri, che ci conferma le lamentele degli scrittori latini contemporanei (ad esempio Marziale e Giovenale) e in particolare la destinazione dei piani superiori ai meno abbienti. Si ricorderanno infatti i ‘duecento scalini’ (ducentas scalas) che Marziale doveva salire per raggiungere la sua abitazione, ed i continui pericoli di crolli e incendi cui accenna Giovenale.

 

 

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La Storia delle Anfore………. “MONTE TESTACCIO”

La Storia delle Anfore………. “MONTE TESTACCIO”

Domenica 09 Giugno, ore 15,05 – in Via Nicola Zabaglia, 24

Quota di partecipazione€ 17,00 comprensiva del biglietto di ingresso di Euro 4,00, servizio radiocuffie e visita. 

Per i possessori di MIC CARD la quota è di € 13,00 con ingresso gratuito (comunicarlo al momento della prenotazione)

Termine Utlimo di prenotazione: Venerdì 7 Giugno, ore 13,00

La visita sarà condotta da Massimiliano Del Moro, storico dell’arte e guida turistica autorizzata

 

Il Monte Testaccio, conosciuto popolarmente anche come Monte dei Cocci, è una collina artificiale situata nella zona portuale dell’antica Roma e in prossimità dei magazzini (horrea). 

Alto 54 metri e con una circonferenza di circa 1 chilometro, il monte è formato da testae, cocci, in prevalenza frammenti di anfore usate per il trasporto delle merci, che venivano sistematicamente scaricate e accumulate dopo essere state svuotate nel vicino porto fluviale. Secondo gli ultimi studi questa attività venne portata avanti tra il periodo augusteo e la metà del III sec. d.C. 

Diversamente dalle anfore usate per il trasporto di prodotti agricoli, le anfore olearie provenienti in gran parte dalla Betica (attuale Andalusia) non erano riutilizzabili a causa della rapida alterazione dei residui di olio. Il problema dello smaltimento rapido ed economico delle anfore, nel rispetto delle norme igieniche, fu risolto con questa “discarica” dove i frammenti vennero accatastati con la massima economia di spazio e con la sola disposizione di calce che, destinata ad eliminare gli inconvenienti causati dalla decomposizione dell’olio, ha rappresentato anche un ottimo elemento di coesione e di stabilità per il monte attraverso il tempo.

Un accumulo di tale entità ed altezza fu reso possibile dalla presenza di una prima rampa e di due stradelle percorse dai carri ricolmi di cocci e di anfore frammentarie, molte delle quali conservano il marchio di fabbrica impresso su una delle anse, mentre altre presentano i tituli picti, note scritte a pennello o a calamo con il nome dell’esportatore, indicazioni sul contenuto, i controlli eseguiti durante il viaggio, la data consolare.

Pertanto il monte a tutt’oggi si configura come fonte storico-documentaria di prima mano sullo sviluppo economico dell’impero romano, sulle relazioni commerciali tra Capitale e province, nonché sulle abitudini alimentari nell’antichità.

Cessata la funzione di discarica, il Monte Testaccio dal periodo medievale inizia ad assumere un ruolo diverso nella storia di Roma come sede di manifestazioni popolari, dai più antichi giochi pubblici (come ad esempio il ludus Testacie, una sorta di corrida) alle note “ottobrate romane” dell’Ottocento.  

 

 

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Il MITREO DELL’ARA MASSIMA DI ERCOLE (o Mitreo del Circo Massimo)

Il MITREO DELL’ARA MASSIMA DI ERCOLE (o Mitreo del Circo Massimo)

Sabato 15 Giugno, ore 10,50 – in Piazza della Bocca della Verità n. 16/a

Quota di partecipazione€ 17,00 comprensiva del biglietto di ingresso di Euro 4,00, servizio radiocuffie e visita. 

Per i possessori di MIC CARD la quota è di € 13,00 con ingresso gratuito

Termine Utlimo di prenotazione: Venerdì 14 Giugno, ore 13,00

La visita sarà condotta da Massimiliano Del Moro, storico dell’arte e guida turistica autorizzata

 

Il mitreo fu scoperto nel corso dei lavori intrapresi, negli anni ’30 del secolo scorso, per la creazione del deposito per le scene del Teatro Nazionale dell’Opera presso l’ex Pastificio Pantanella.

Si individuò un vasto edificio del II secolo, in buono stato di conservazione e con una ricercata decorazione marmorea, più volte modificato e adattato nel corso del III secolo a mitreo, un luogo destinato ai riti misterici del dio Mitra, divinità iranico-babilonese il cui culto trovò la massima diffusione nell’impero romano, soprattutto tra il II e il IV secolo d.C.

Atto centrale del mito era l’uccisione del toro cosmico che, morendo, dà vita all’universo. L’attuale ingresso doveva essere quello secondario, mentre il principale era in corrispondenza del Circo Massimo. Il primo ambiente a destra è stato interpretato come apparitorium, una sorta di sacrestia, mentre nel secondo vano compare un elemento tipico del mitreo: il podio costruito in muratura dove sedevano gli iniziati durante le cerimonie e la celebrazione del banchetto sacro. Questa sorta di bancone ritorna nell’ultimo e più importante ambiente, il santuario vero e proprio, lo spelaeum, la grotta nella quale avveniva l’incontro con il dio attraverso vari gradi della purificazione.

All’interno di un arco, sulla parete di fondo, è un’edicola semicircolare che doveva contenere una piccola statua di Mitra. La rappresentazione del mito veniva generalmente scolpita in un grande rilievo che in questo Mitreo è stato rinvenuto fuori posto e collocato nell’ambiente centrale del santuario. Al disopra del rilievo è scolpita l’iscrizione dedicatoria del donatore: “Al dio sole invitto Mitra, Tiberio Claudio Hermes in seguito ad un voto offre l’immagine del dio”.

 

 

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